Antichi detti di Molfetta: testimonianze della cultura e mentalità di un tempo

Il libro di Rosaria Scardigno, intitolato “Molfetta allo specchio, come appare nel suo lessico”, ci propone alcuni antichi detti che costituiscono un’importante testimonianza della cultura e della mentalità di quei tempi.

“Cure de foere, mbròene, rapechéne, zurre, cape de terréiene” si riferisce ai cibi consumati dai contadini e suggerisce che il popolo si nutrisse principalmente di fave e non di altri alimenti come le rape o le zucche. Questa affermazione fornisce un’idea delle abitudini alimentari di allora. Oggi, invece, prevale il cibo spazzatura che viene consumato quotidianamente, soprattutto dai giovani.

“L’uerteléne, de fridde se moere é noene de féme”, riguarda gli ortolani i quali, nonostante il freddo, riuscivano comunque a sopravvivere grazie alla loro abilità nel trovare lavoro. Questo detto suggerisce anche che gli ortolani fossero capaci di arrangiarsi e di cavarsela da soli. Anche oggi bisogna sapersi adeguare, spesso ci si accontenta anche dei lavori sottopagati non conformi alla formazione scolastica, pur di sostenere la propria famiglia e mantenersi agli studi.

“Necoele Necoele, a quatte réne le pemedoele”, si riferisce al prezzo dei pomodori che, al tempo, costavano molto poco e potevano essere acquistati a un prezzo molto conveniente. Questo ci fa capire che i prodotti agricoli erano facilmente accessibili e che non erano considerati articoli di lusso. Oggi, invece, i pomodori sono diventati un lusso e hanno subito un’impennata di prezzo a causa delle condizioni climatiche avverse sempre più frequenti.

“Il lavoratore di campagna ve alla porte ad acchia”, riguarda la vita dei braccianti che, per trovare lavoro, andavano alla “porta” dei loro padroni. Questo suggerisce che la ricerca di lavoro fosse un’attività difficile e che i lavoratori dovettero lottare per ottenere un impiego. La situazione oggi non è cambiata: la disoccupazione è ancora un grosso problema.

“Segnõere, ante u artiste, ca cure de foere u chémbe Criste”, si riferisce agli artigiani che pregavano Dio di aiutarli a trovare lavoro, poiché non avevano la stessa sicurezza economica dei contadini. Questo ci fa capire che, nonostante la differenza di status sociale, tutte le persone si affidavano a Dio per ottenere aiuto. Ancora oggi è così, vista la precarietà di un lavoro; alcune volte non ci si rivolge al santo, ma alle raccomandazioni!

“Viaggénde, pippa longhe é vénde vachénde”. Questo detto riguarda i marinai che, essendo costretti a navigare per lunghi periodi, avevano spesso poco da mangiare e si nutrivano principalmente di tabacco. Questo suggerisce che la vita dei marinai fosse difficile e che dovevano fare i conti con la mancanza di cibo. Attualmente, l’introduzione delle nuove tecnologie anche sulle piccole navi ha reso più semplice la navigazione.

“U scarpare tire re sètele a pare a pare”, si riferisce ai calzolai, i quali promettevano di consegnare le scarpe entro un determinato termine ma spesso non riuscivano a rispettare la scadenza. Questo suggerisce che l’attività dei calzolai non fosse sempre efficiente e che i clienti avessero spesso difficoltà a ottenere il prodotto promesso. Anche in questo caso, la tecnologia ha giocato un ruolo dominante: grazie alle nuove macchine, i tempi di produzione si sono di gran lunga ridotti; spesso si preferisce gettare gli oggetti, dalle scarpe agli elettrodomestici, piuttosto che riparare.

“U troppe gedizeie de de la menghiarletutene”. Questo detto riguarda il valore della saggezza e suggerisce che troppa intelligenza possa anche portare a comportamenti sciocchi.

Infine, come ci insegna la scuola, “studeie, mérite mi, ca lesse dettòere”: si riferisce a una donna Prassede del popolo, che incuora il marito a studiare per diventare dottore.

Di: Francesco Caputi, Roberto Cappelluti, Samuele Magarelli, Antonio de Candia, Giuseppe Picca.